Omelia nella Celebrazione della Passione del Signore (rito ambrosiano) 30/03/2018

Omelia nella Celebrazione della Passione del Signore

Parrocchia Buon Pastore, venerdì 30 marzo 2018

(Is 49, 24-50, 10; Is 52, 13-53, 12; Mt 27, 1-56)

 

Tra le sette parole di Gesù in croce la liturgia di oggi ci consegna, forse, quella più terribile e più drammatica: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Sono parole che fanno impressione, un certo effetto dette da Gesù; ma come uomini e donne che conoscono l’esperienza del dolore (magari del dolore altrui) e della sofferenza ingiusta comprendiamo come quel grido è un grido davvero e profondamente umano.

La tradizione cattolica d’occidente, quella alla quale noi apparteniamo, mette al centro della fede come simbolo proprio la croce, quella croce che oggi non solo contempliamo ma adoriamo, baciamo e consideriamo come un po’ “nostra”: la croce di Gesù che porta in sé un dono altissimo, un dono grandissimo che molto spesso ci dimentichiamo di aver ricevuto, una volta per tutte. È il dono della salvezza, dell’amore più grande.

Oggi, sembrano suggerirci i due brani del profeta Isaia, ci vuole il coraggio della fede, di quella fede che è totale affidamento, totale abbandono.

Isaia porge orecchio al Signore per rivolgere una parola allo sfiduciato. Chissà se anche noi siamo in questa condizione di sfiducia: le cose non vanno bene, siamo in un periodo di confusione, il mondo sembra non avere più segnali di speranza, la vita comunitaria è stanca e affaticata… In tutto questo la parola di speranza, la parola di fiducia è data da un testimone che non si tira indietro, che paga di persona, che testimonia che la fede invita ad andare oltre l’apparenza, oltre la sconfitta momentanea, oltre l’irrilevanza di oggi.

Colui che cammina nelle tenebre, senza avere luce, confidi nel nome del Signore, si affidi al suo Dio”: ecco, Signore, noi oggi che siamo nelle tenebre, senza avere luce, confidiamo nel tuo nome, ci affidiamo a te come nostro Dio che, per un momento, ti sei nascosto.

Ma il coraggio della fede ci chiede di fare un secondo passo. E questo secondo passo non è solamente fare i conti con la momentanea assenza del Signore, ma è riconoscere l’opera di Dio in colui che “ha spogliato se stesso fino alla morte”.

Di fronte alla violenza, alla violenza gratuita, all’ingiustizia di una condanna senza colpa… quante volte ci indigniamo? Quante volte ci viene da reagire in modo violento alle ingiustizie, specialmente se subìte da chi conosciamo, stimiamo, amiamo? Dentro di noi c’è questo istinto, l’istinto di sopravvivere, l’istinto di rispondere al male con il male, l’istinto di… andare dietro all’istinto (ricordiamoci l’avvertimento del Creatore a Caino: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? 7Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai” (Gen 4, 6).

Il giusto servo del Signore, annunciato da Isaia, vede oltre tutto questo e spoglia se stesso non solo dall’istinto, ma soprattutto dall’apparenza, dalla bellezza e dallo splendore: che cosa dovrebbe attirare il nostro sguardo su questo “uomo dei dolori che ben conosce il patire”?. Questo servo attira il nostro sguardo perché spogliato da ogni segno di potere, da ogni pretesa potenza  che non sia quella di mostrare un potere e una potenza non sua, ma di chi lo ha mandato: “Ecco, il mio servo avrà successo,
sarà onorato, esaltato e innalzato grandemente
”.

Dove sta la potenza della croce? Dove sta il successo del servo del Signore? Dove sta il suo onore, la sua esaltazione? Il lungo brano della Passione ci mostra che intorno a Gesù tutto gli è ostile; possiamo immaginare la sofferenza, non solo fisica, ma anche affettiva e morale nel vedere tutti abbandonarlo. Gesù resiste e, per questo esiste: di fronte alle accuse del sinedrio, di fronte all’ignavia di Pilato, di fronte alla folla che grida “Sia Crocifisso!”, di fronte a chi usa violenza fisica e verbale contro di Lui, di fronte all’abbandono delle forze, di fronte al patibolo… Gesù non si mostra mai come “ombra di se stesso” ma fino in fondo è vero uomo e, insieme, vero Dio.

Ma perché possiamo dire e credere che Gesù è anche vero Dio sul legno della croce? Prendo a prestito le parole del Papa emerito, Benedetto XVI:

“Ma potremmo chiederci: come è possibile pensare a un Dio onnipotente guardando alla Croce di Cristo? A questo potere del male, che arriva fino al punto di uccidere il Figlio di Dio? Noi vorremmo certamente un’onnipotenza divina secondo i nostri schemi mentali e i nostri desideri: un Dio “onnipotente” che risolva i problemi, che intervenga per evitarci le difficoltà, che vinca le potenze avverse, cambi il corso degli eventi e annulli il dolore. (…)Solo chi è davvero potente può sopportare il male e mostrarsi compassionevole; solo chi è davvero potente può esercitare pienamente la forza dell’amore. E Dio, a cui appartengono tutte le cose perché tutto è stato fatto da Lui, rivela la sua forza amando tutto e tutti, in una paziente attesa della conversione di noi uomini, che desidera avere come figli. Dio aspetta la nostra conversione. L’amore onnipotente di Dio non conosce limiti, tanto che «non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi» (Rm 8,32). L’onnipotenza dell’amore non è quella del potere del mondo, ma è quella del dono totale, e Gesù, il Figlio di Dio, rivela al mondo la vera onnipotenza del Padre dando la vita per noi peccatori. Ecco la vera, autentica e perfetta potenza divina: rispondere al male non con il male ma con il bene, agli insulti con il perdono, all’odio omicida con l’amore che fa vivere”. (Udienza del 30 gennaio 2013)

Oggi, guardando alla croce di Gesù, venendo ad adorarla e a baciarla, proviamo a pensare e a credere, con tutte le nostre forze: “Questa è l’onnipotenza dell’amore del Padre che da la vita perché noi viviamo nella vera vita”.

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