Omelia del Natale del Signore 2014 – Messa nel giorno (rito ambrosiano)
Omelia nel Natale del Signore 2014 – Messa nel giorno (rito ambrosiano)
(Isaia 8, 23b-9, 6a; Ebrei 1, 1-8a; Luca 2, 1-14)
La narrazione di Luca, a partire da quanto scrivo nelle sue premesse nei primi versetti del primo capitolo, è quella che con più precisione riferisce episodi, fatti, persone e circostanze frutto di un’accurata ricerca e di un lavoro certosino e paziente di interviste e di raccolta di testimonianza dirette e indirette sui fatti accaduti nel suo Vangelo.
Così ci troviamo di fronte ad una pagina, quella di oggi, di una bellezze e semplicità unici: sappiamo cosa avviene, chi è coinvolto, come avvengono i fatti. Sembra la pagina di cronaca di un tempo preciso, arricchito dalla annotazione di alcuni particolari importanti: il fatto che il bambino, avvolto in fasce, è deposto in una mangiatoia; il timore iniziale dei pastori di fronte alla luce e la rassicurazione “Non temete”. Essi ci dicono che i fatti narrati, nella verità e nella concretezza, “nascondono” un mistero grande finalmente rivelato: un mistero di nascita che diventa “nutrimento” (mangiatoia), un mistero di luce che richiama profezie antiche, le parole “magiche” che fanno riconoscere la presenza di Dio (“Non temete”).
Facendo un passo indietro troviamo le parole della lettera agli Ebrei: in essa troviamo la conferma che il figlio di Dio è la rivelazione ultima e completa del Padre. Tra i vari aggettivi che troviamo espressi due colpiscono e richiamano altre parole: “irradiazione della sua gloria” e “parola potente”. Essere irradiazione della gloria divina significa essere parte della sua sostanza, della sua verità, della sua vita: la “gloria” nel Primo Testamento è parola che dice la presenza di Dio. Essere parola potente vuole dire parola che compie, parola che fa quello che dice. Dunque Gesù è presenza di Dio e quando parla, fa.
C’è una parola ancora più antica: quella del profeta Isaia. Stupisce come questa visione sia al tempo passato, come se fosse già compiuta ai tempi del profeta e non, invece, in attesa di manifestazione. Stupisce più ancora che questi segni profetizzati che già abbiamo trovato nelle due letture già commentate sono attribuite ad un bambino che è nato per noi: una vita che nasce, una speranza che si accende, un segno fragile e palpitante.
Facciamo un piccolo riassunto e tiriamo le “conseguenze” per noi. Il Natale del Figlio di Dio è un pane che nutre la nostra fame; il Natale di Gesù è luce che illumina le tenebre; il Natale di Cristo ci conferma il messaggio divino “Non temete”. Il Figlio di Dio che nasce è davvero Presenza divina, la sua gloria; il Figlio dell’Uomo è di parola e mantiene le “promesse”. Insomma, tutto questo è “concentrato” in un bambino che viene al mondo e spezza le catene della morte e del peccato, viene nella nostra vita e infonde nuova vita.
Concludo con un augurio: “Da quella notte Dio diede appuntamento nella fragilità agli umani. Purtroppo lungo i secoli si persistette a cercarlo da altre parti, anche le chiese lo cercarono e ancora lo cercano da altre parti, nel segno di modelli vincenti, in modelli disumani di perfezione. Ma è perdere l’appuntamento. Che è nella debolezza e nella fragilità. (…) E tutta la vita, la sua, fu un chinarsi sul mistero della fragilità” (A. Casati). Non importa se non siamo perfetti, vincenti, riusciti agli occhi di questo mondo. Il Signore, questa notte, ci da appuntamento nella nostra vita fragile, debole, a volte senza fede.
Lascia un commento