Natale del Signore: Omelia nella S. Messa vigiliare (rito ambrosiano, 24 dicembre 2014)
NATALE DEL SIGNORE
OMELIA NELLA S. MESSA VIGILIARE
(1Sam 1, 7c-17; Eb 10, 37-39; Mt 1, 18-25)
Carissimi bambine e bambini, carissimi ragazzi e ragazze, carissimi fratelli e sorelle: è bello trovarci così in tanti per celebrare insieme questa liturgia che precede la Festa di Natale!
Ci siamo preparati in queste settimane di Avvento? Abbiamo messo “a bilancio” nell’amministrazione della nostra vita del tempo sufficiente per preparare questo momento? Dobbiamo fare un “bilancino consuntivo” prima di addentrarci in questo Mistero di Luce che stiamo, insieme, accogliendo e celebrando. Chiediamo al nostro cuore, alla nostra coscienza: come sono in questo momento? Quali sentimenti sto provando? Quali pensieri ho per la mente? È importante fermarsi, ogni tanto, e guardare alla nostra vita, come farebbe un buon medico dell’anima, con occhi giusti e misericordiosi, con gli occhi di Dio. Già, perché lo sguardo di Dio non può che essere così: giusto e misericordioso!
Stiamo celebrando quella che, tradizionalmente, chiamiamo la “S. Messa della Luce”. Abbiamo compiuto un gesto, quello del Lucernario: dalla Chiesa semibuia, in penombra, all’inizio abbiamo acceso tutte le luci, animate da una piccola lanterna; e quella piccola lanterna è la Luce di Betlemme, la Luce che si è accesa a Betlemme, come disse già il profeta Isaia: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce”. Quella luce ha un nome, una storia, un destino.
Quella luce è stata preparata con tempi lunghi: perché l’Amore, quello vero, quello divino, ha tempi lunghi, non è qualcosa che arriva in un baleno e si consuma in un attimo! È stata preparata da uomini e donne di fede che non hanno smesso di cercare e pregare Dio anche nel momento della prova, anche quando tutto, ma proprio tutto, diceva intorno a loro di “non perdere tempo, tanto Dio non ti vuole bene, si è dimenticato di te”.
È successo ad Anna, lo abbiamo sentito nella prima lettura: questa donna non accetta il fatto di non avere un figlio; non riesce nemmeno ad essere consolata dall’affetto sincero e dalle parole del marito. Non avere figli, nell’Antico Testamento, voleva dire che il Signore ti aveva punito: tu o qualcuno vicino a te aveva combinato qualcosa di talmente grave da non concederti la gioia di avere una discendenza. Un amore, quando non è fecondo, molte volte è un amore triste.
Ma Anna non si da per vinta! Con la tenacia e la determinazione conosciute solo da pochi oggigiorno, va “all’attacco” e fa una proposta al “Signore degli eserciti”: considerare la sua miseria, ricordarsi di lei, della “sua schiava”, donare un figlio maschio che, a sua volta, Gli donerà per tutti i giorni della sua vita. Una preghiera insistente e una richiesta inconcepibile per noi! Eppure, la sua preghiera sarà esaudita e da lei nascerà il profeta Samuele, colui che ascolta la voce di Dio, consigliere dei re Saul e Davide. Ogni dono ricevuto come grazia diventa, ridonato, grazia per tanti, grazia per tutti!
Mi direte: “Certo, reverendo! Se avessimo abbastanza fede quanto questa donna!”. E io vi rispondo con le parole della Seconda Lettura: “Noi siamo uomini di fede per la salvezza della nostra anima”. Perché siamo qui? Forse per tradizione, o forse perché qualcuno ci ha invitato o trascinato; forse perché davvero ci crediamo in questo Dio che scende dalle stelle. A tutti noi, credenti o meno, il Signore ci dice: “Non mi importa se tu non credi in me, perché io credo in te!”. E accogliere questa professione di fede in noi da parte di Dio significa prendere sul serio la nostra anima, il nostro cuore, la nostra interiorità. D’altronde, non è questo il nostro più grande desiderio, quello della salvezza? Dalla malattia, dalla crisi, dal peccato, dalla illusione, dalla mancanza di futuro (e di presente…), dalla morte. Pensiamo che, oggi, ci è offerta la salvezza dell’anima! Si parte, o si riparte, sempre ricominciando a fare un passo alla volta.
Ricapitoliamo, allora. Siamo qui per Gesù che si fa Bambino. Siamo qui per riascoltare la sua storia e scoprire che, rispetto alla nostra, non è poi così diversa! Siamo qui a lasciare spazio a questo segno divino che viene ad abitare in mezzo a noi. Siamo qui, forse, con lo stesso timore di Giuseppe che di fronte a ciò che non capisce (e non condivide) sembra tirarsi indietro, salvo poi sentire parole di incoraggiamento e di speranza (le parole di sempre del Signore: “Non temere, io sono con te!”) e permettergli di non rinunciare al suo desiderio, al suo amore, alla sua vocazione. E questo dilata a tal punto la sua disponibilità al progetto divino che il suo “Sì” diventa occasione, per noi qui ed ora, di incontrarci, di scambiarci gli auguri e di riconoscere in questo bambino quel segno di speranza che sempre la nostra vita attende!
Negli auguri di Natale di quest’anno ho scelto queste parole: “Da quella notte Dio diede appuntamento nella fragilità agli umani. Purtroppo lungo i secoli si persistette a cercarlo da altre parti, anche le chiese lo cercarono e ancora lo cercano da altre parti, nel segno di modelli vincenti, in modelli disumani di perfezione. Ma è perdere l’appuntamento. Che è nella debolezza e nella fragilità. (…) E tutta la vita, la sua, fu un chinarsi sul mistero della fragilità” (A. Casati). Non importa se non siamo perfetti, vincenti, riusciti agli occhi di questo mondo. Il Signore, questa notte, ci da appuntamento nella nostra vita fragile, debole, a volte senza fede.
Accogliamoci nel Suo Nome che è di Bambino e sa di Amore: questo sarà vero Natale per tutti noi!
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