Il Vangelo della Domenica con Albino Luciani: XXII del tempo ordinario (28/08/2022), rito romano
“Il Vangelo della domenica con Albino Luciani”
Domenica 28 agosto 2022: XXII del tempo ordinario (C)
(Siracide 3, 19-21.30-31; Salmo 67; Ebrei 12, 18-19.22-24; Luca 14, 1.7-14)
Riprendiamo dopo qualche mese il consueto appuntamento spirituale che ci permette di prepararci alla celebrazione della messa domenicale guardando alle letture della Scrittura e facendoci aiutare dal nostro prossimo beato Albino Luciani.
I pochi versetti del libro sapienziale del Siracide tratteggiano delle caratteristiche importanti per un uomo che voglia essere davvero uomo, davvero fedele e davvero figlio: la mitezza nel compiere le proprie opere, l’umiltà proporzionata direttamente alla grandezza, la preferenza di Dio ai miti ai quali rivela i suoi “segreti”, la radice maligna di ogni persona superba e, al contrario, la glorificazione di Dio da parte di chi è umile, il cuore sapiente che medita e l’orecchio attento che è caratteristica del saggio… Cerchiamo nell’orizzonte cristiano e nell’orizzonte di vita quanti hanno testimoniato tutto questo e prendiamo esempio da loro perché anche noi riusciamo a vivere così, percorrendo la strada della sapienza e dell’umiltà, proprio come ha fatto il nostro amato Albino Luciani.
Il Salmo 67 riprende con linguaggio spirituale e poetico il testo precedente sottolineando l’opera incessante di un Dio provvidente verso il povero, l’orfano e la vedova (tre delle categorie più messe alla prova ed escluse di ogni tempo): Egli diviene pioggia abbondante e casa per chi non ne ha, sicurezza per chi non ha rifugio.
I versetti compositi tratti dalla Lettera agli Ebrei accosta, per differenza, le due rivelazioni contenute nella storia della salvezza, nella storia d’Israele: da un lato la rivelazione dell’Antico Testamento, del Sinai con i suoi elementi naturali e manifestazioni potenti (fuoco ardente, oscurità, tenebre, tempesta…); dall’altro, per contrasto, il monte Sion e la Gerusalemme celeste come ad una “adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli”, quell’alleanza nuova già annunciata nell’antichità ed ora compiuta attraverso l’opera di Gesù, della quale ne è mediatore. Per noi queste parole risuonano come attenzione a riconoscere quella “Gerusalemme celeste” non solo come l’aldilà, il paradiso, ma anche come la Chiesa stessa che, custodendo e diffondendo la Presenza Reale di Cristo, è luce delle genti e adunanza festosa.
Il brano evangelico contiene il rischio di interpretarlo esclusivamente in chiave morale o moralistica: bisogna essere umili, bisogna essere generosi… Così spegniamo la forza della rivelazione evangelica che, invece, è la vera novità. E la novità sta nel fatto che Gesù agisce gratuitamente senza pretendere in cambio niente: vuole semplicemente suscitare un ripensamento, una riflessione che porti alla verifica e alla conversione dei cuori, delle anime e, infine, dei comportamenti personali e sociali. Ma tutto questo ha un forte fondamento spirituale: Egli implicitamente fa riferimento al primo Testamento in cui spesso la rivelazione divina è paragonata a un grande banchetto dove Lui, il Signore, servirà e dove noi, suoi figli, saremo serviti: così Gesù sollecita i suoi interlocutori ad andare alla memoria a quelle parole, a quelle rivelazioni per riconoscere nella sua opera e nella sua persona il compimento delle promesse divine, la Nuova Alleanza tanto attesa, il Messia sperato.
Propongo ora alcune parole che Albino Luciani, in occasione della Omelia di fine anno del 31 dicembre 1961, ha indirizzato ai fedeli della sua Diocesi di Vittorio Veneto: in esse ritroviamo la concretezza della fede e la sua profondità, proprio come ci indica il Vangelo. Egli parla, in questo caso, di morale cristiane e di bontà, quella stessa bontà che si traduce in magnanimità e generosità come indicato da Gesù nel Vangelo:
Miei cari fedeli! Vi possono assicurare che la morale cristiana arriva anche all’amministrazione statale. Qua, in chiesa, si comincia appena a essere buoni, si chiede l’aiuto a essere buon buoni si è specialmente là, fuori: in casa, in fabbrica, in scuola, in tribunale e anche su alle corti d’appello, alle camere, ai ministeri. Lassù si è obbligati ancor più a osservare la legge di Dio, perché più in vista, perché più comandati al servizio del nostro prossimo, perché amministratori di capitali più grossi. Giovanni terzo deve sforzarsi di piacere a Dio non solo quando fa il cuoco, ma anche quando fa il deputato, il sottosegretario, il ministro. Non è però che il Signore distingua tra ministro e cuoco. Ha detto: «Chi accoglie un profeta (non perché simpatico, perché suo amico, perché influente, ma appunto) perché profeta, avrà la mercede d’un profeta» (Mt 10,41). Il padre predicatore studia, va fuori a predicare, converte anime, avrà il premio. Ma il fratel cuoco, che in cucina prepara le minestre, lava i piatti per lasciare tempo all’altro, avrà lo stesso premio dell’altro; anzi, premio maggiore, se nel lavare i piatti e nel mondare le patate mette più amore di Dio, più impegno, più retta intenzione. Nelle opere buone, dunque, il Signore non guarda alla grandezza, all’importanza del lavoro, ma al cuore, al motivo che ci mettiamo: «Non quaerit donum amantis, sed amorem donantis». La Madonna è la più grande di tutti i santi, ma cosa ha fatto? Appunto ha scopato, cucito, rammendato, lavato scodelle e la biancheria. Tutte cose ordinarie. Finisco. Tra poco comincia l’anno 1962. Prego il Signore che esso sia buono e felice per tutti i fedeli a me affidati. Auguro che durante il suo corso, abbiate salute, pace, concordia, benessere, ma, soprattutto, amicizia con il Signore. Quest’amicizia è il dono più prezioso che vi possa toccare. (Omelia di fine anno, 31 dicembre 1961, O.O. Vol. 2 pagg. 380-381)
Lascia un commento