Domenica 7 dicembre 2014: L’Ingresso del Messia (omelia, rito ambrosiano B)
071204
IV di Avvento B
“L’Ingresso del Messia”
Come mai la pedagogia della Chiesa ambrosiana pone in questa domenica il brano dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme?
A questa domanda possiamo rispondere solamente se abbiamo la pazienza di seguire il cammino proposto dagli altri brani della Scrittura che lo precedono.
Anzitutto il Profeta Isaia.
Le parole, con tono misterioso, sono rivolte ai Moabiti, un popolo vicino e ostile a Israele, abitante nella zona depressa del Mar Morto. I Moabiti, minacciati da altri popoli nemici, sono invitati a guardare al “monte della figlia di Sion” (Gerusalemme) e a chiedere ad esso l’aiuto necessario e la protezione sufficiente.
Ma c’è di più: le parole profetiche annunciano la fine della tirannia e della devastazione, la scomparsa del distruttore della regione e l’avvento di un trono di mansuetudine, fedeltà, un giudice sollecito del diritto e pronto alla giustizia. Viene persino indicato nella tenda di Davide tutto questo.
Dunque quel “tributo” chiesto mandando un agnello al signore della regione è da vedersi come la preparazione dei tempi nuovi e non solamente la sottomissione ad un potere terreno: l’agnello e il monte Sion indicano i tempi del Messia, di colui che viene a liberare e a proteggere, portando giustizia e pace.
Ci accompagna al Vangelo anche il brano della prima Lettera di Paolo ai Tessalonicesi.
L’Apostolo delle genti scrive ad una comunità da lui fondata e non annuncia niente di nuovo, perché il Vangelo è già conosciuto, meditato e vissuto dai tessalonicesi. Nei versetti che abbiamo ascoltato si sente tutto il desiderio di condividere con loro il tratto di cammino terreno in attesa della venuta del Signore: un’attesa pregna di speranza e concretamente vissuta nella vita di tutti i giorni. Ma quale venuta del Signore? Certamente una venuta imminente, con tutti i suoi santi, una rivelazione della gloria di Dio che deve trovare pronti i cuori e la vita dei credenti.
Possiamo sentirla detta a noi, questa lettera: anche noi conosciamo già il Vangelo e sappiamo come piacere a Dio; anche noi siamo invitati a progredire ancora di più sulla via della fede e della vita.
Perché, allora, la liturgia ambrosiana di questa domenica ci fa ascoltare questo brano?
Conosciamo come per Gesù Gerusalemme è identificata come il compimento della sua vita e della sua missione in obbedienza ai comandi del Padre.
Colpisce come, sapendo che quella mèta è importante nella sua vita, entrando in essa in questo primo giorno il Maestro non dica nulla, rimane in silenziosa contemplazione in mezzo al clamore della folla, guarda attorno ogni cosa nel tempio, esce con i Dodici verso Betania.
Colpisce anche il confronto tra questo atteggiamento di Gesù e altri episodi della sua presenza a Gerusalemme e nel tempio (predicazione, preghiera, guarigioni, liberazioni, rovesciamento dei commerci all’ombra del tempio…).
Eppure, siamo di fronte ad una rivelazione di Cristo: egli viene come Messia, il principe della pace, colui che è della tenda di Davide; viene e si rivela così perché preferisce la quotidianità e la modestia della casa di Betania che lo splendore e la ricchezza del tempio. Viene per ricordarci che quel bambino che nasce è il vero Messia, l’Atteso delle genti, Colui che, solo, può suscitare mansuetudine, fedeltà, giustizia e diritto, sovrabbondanza nell’amore verso tutti, saldezza del cuore e santità, graditi a Dio Padre nella nostra vita quotidiana.
Accogliamo questo Messia nella nostra vita: sarà la vera novità e la gioia piena, attesa da sempre e giunta fino a noi!
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