Cristo Re: Omelia nella solennità del Signore (Anno A, rito ambrosiano)

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo

Anno A (2Sam 7; Sal 44(45); Col 1, 9b-14; Gv 18, 33c-37)

Omelia nella Solennità

 “Il mio regno non è di questo mondo”: l’affermazione sicura di Gesù messo sotto giudizio di fronte all’autorità civile del governatore Ponzio Pilato chiarisce bene e subito quale tipo di sovranità il Maestro intende esercitare su noi e sul mondo, sull’universo intero.

Anche nel Primo Testamento la tentazione dell’uomo di Dio, chiamato Davide e unto Re dal Signore Dio tramite il profeta Samuele, è quella di provvedere lui stesso ad una abitazione stabile per chi abita i cieli ed è creatore di tutto: Davide è nella fase di stabilità del suo regno, di affermazione del suo potere, gli va tutto bene, a gonfie vele… ha quindi tempo per “riflettere” ed accorgersi di come la dimora di Dio tra gli uomini, quello stesso Dio che lo ha scelto come re su questa terra del suo popolo, è ancora quella “provvisoria” che sta “sotto i teli di una tenda”. Inizialmente, lo abbiamo ascoltato, questo desiderio è assecondato dal profeta Natan: “Fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te”. Ma poi, dallo stesso profeta ed amico Natan sentirà quale parola autorevole viene dall’alto, una parola che ricorda a Davide la sua storia e le sue origini, una parola che traccia un presente e un futuro sicuro, promettente per la casa del re: “Io renderò stabile per sempre il tuo regno, la tua casa”. E così fu: Salomone regnò al posto del padre Davide e costruì il magnifico tempio in Gerusalemme. Davide si è fidato e si è affidato: così ha visto mantenuta la promessa divina ed ha potuto, dal cielo, ammirare l’opera del figlio e la discendenza della sua casa che prolifera e allarga gli orizzonti fino ad arrivare a noi, nuova discendenza regale per mezzo di Gesù Cristo, figlio di Giuseppe della casa di Davide.

Così l’apostolo Paolo, elogiando la bella comunità di Colosse in Turchia, parla dei credenti: grazie alla promessa mantenuta il Padre “ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore”. Dunque ancora una volta un regno, certo, ma non un regno qualsiasi, non un regno soggetto a questo mondo! Ha queste caratteristiche il regno del Figlio del suo amore: grazie ad esso abbiamo la redenzione e il perdono dei peccati. Un regno secondo lo Spirito di Dio, un regno che rende forti a partire dalla debolezza umana: proprio la potenza della gloria di Dio rende forti, perseveranti e con un cuore grande. Chi ne è già parte sono i santi, coloro che, lo ricordiamo, hanno lavato le loro vesti candide nel sangue dell’Agnello, hanno fatto della loro vita un inno a Dio e un sacrificio unito al sacrificio di Gesù.

“Il mio regno non è di questo mondo”: la verità delle parole di Gesù è racchiusa tutta nel mistero della sua vita e della sua fine, una fine e una morte per… e non “nonostante” o contro qualcuno. Per questo Cristo è nato e per questo è venuto nel mondo: per rivelare che c’è un potere e un regno che libera dal male, che si eleva con la sua potenza e la sua verità sopra tutto ciò che nell’uomo e nel mondo è corruzione, brama di dominio, possesso egoistico, desiderio senza limiti…

Anche per questo a volta i cristiani, i discepoli di Gesù, sentono di non far del tutto parte di questo mondo con le sue logiche e i suoi regni, i suoi giochi di potere e i suoi sotterfugi: questa estraneità è il segno che, dentro di noi, è già spuntato e sta già germogliando il regno di Dio, un regno che ci fa sentire accolti, parte di una casa regale, discendenza di Davide, peccatori perdonati, segni della potenza di Dio che si manifesta grazie alla nostra debolezza.

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