Omelia nella Celebrazione della passione del Signore (rito ambrosiano) 19/4/19

Omelia nella Celebrazione della Passione del Signore

Parrocchia Buon Pastore, venerdì 19 aprile 2019

(Is 49, 24-50, 10; Is 52, 13-53, 12; Mt 27, 1-56)

            “La fede è il faccia a faccia nelle tenebre”: scriveva così santa Elisabetta della Trinità pensando alla sua esperienza di ricerca di Dio dentro di sé.

            Mai come oggi pomeriggio potremmo essere d’accordo e potremmo comprendere un’espressione tanto forte: il mistero della passione e della morte di Gesù, di quel Gesù che abbiamo celebrato pochi giorni fa come Messia e inviato di pace, di quel Gesù che ieri ha desiderato ardentemente mangiare la Pasqua con noi.

            Ma quale Pasqua Gesù ha mangiato, ha condiviso con noi? Non la Pasqua della memoria, quasi fosse nostalgia dei tempi passati, di quei tempi dove sì Dio si mostrava forte, potente, liberatore, pronto ad intervenire in difesa del suo popolo, Israele. Quella Pasqua è diventata la Pasqua di Gesù, ma noi facciamo fatica a comprenderla, facciamo fatica ad afferrarla, facciamo fatica ad entrarvi: eppure Lui ce ne ha fatto dono, ci ha fatto dono di se stesso, come pane e vino, come sacrificio vivente.

            Oggi si compiono altre parole, altre profezie riferite al servo di Dio. Ancora una volta sotto la rivelazione che è contraria alla logica del mondo, contraria alla logica dell’uomo che vive senza Dio, o come se Dio non esistesse, ci viene incontro la figura misteriosa di questo servo e ci porta il suo annuncio: “Il Signore Dio mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola”. E quale parola annuncia il servo del Signore? “Il Signore Dio mi assiste. Per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso”: sono parole che “tradiscono” una fede insuperabile e soprattutto un sapere che Dio, colui che invia, è vicino, dentro l’esperienza del servo anche quando questa esperienza risulta difficile, violenta. L’esperienza parla molto di più delle parole; e proprio per questa esperienza capiamo che le parole del servo non sono parole di circostanza, parole retoriche: “Colui che cammina nelle tenebre, senza avere luce, speri nel nome del Signore, si appoggi al suo Dio”. Questo pomeriggio, anche con un po’ di timore, appoggiamoci al nostro Dio.

            Ma l’esperienza del servo del Signore non finisce qui. Il brano che abbiamo ascoltato nella Messa del giorno della Domenica delle Palme ci viene ripresentato in questa nuova circostanza, ancora più tragica di allora. “Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato”: che cosa ci attira questo pomeriggio a celebrare la passione e morte di questo servo del Signore? Forse proprio questo: il linguaggio a noi comprensibile del sacrificio e della solidarietà, del pagare per un altro, del dare la vita per i propri amici. Ci piacciono, in fondo, le storie eroiche. Ma qui c’è ben di più di una storia eroica, c’è bel di più di una semplice solidarietà umana! “Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore”: noi siamo parte di quella discendenza, siamo il compimento della volontà del Signore. E questa volontà è passata per l’ingiustizia perché sia trasformata in giustizia, è passata dalla morte perché sia trasformata in vita, è passata dal dividere perché sia unità.

            Questo servo del Signore è Gesù che, come vero uomo e vero Dio, oggi dona tutto di sé nel sacrificio della croce. Solo guardando all’Uomo della Croce possiamo comprendere, piano piano, che la rivelazione di Dio passa da questa “porta stretta”, da questo “scandalo” che tanto ci attira e che, un po’, ci spaventa. Gesù non ha avuto paura di donarsi, forse ha avuto paura di soffrire così, ma lo ha fatto per ricostruire, per ridare fiducia ad ogni uomo e ogni donna che crede in Lui e nel Padre. E poco importa che il velo del tempio si squarcia, poco importa che si fa buoi su tutta la terra, poco importa che c’è un terremoto, poco importa che molti corpi di santi morti risuscitano… importa che Gesù ci ha mostrato la misura dell’amore incondizionato, quell’amore che tanto ci attrae ma che fatichiamo ad accogliere pienamente in noi, quell’amore che comprende il dolore, la fatica, il tradimento, le delusioni e i fallimenti… ma che non permette a tutto questo di essere l’ultima parola! Perché l’ultima parola rimane quella della speranza, dell’affidamento: “La fede è il faccia a faccia nelle tenebre”.

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