Omelia della Messa “In Coena Domini” (rito ambrosiano) 18/4/19
Omelia nella Liturgia vigiliare vespertina “nella cena del Signore”
Parrocchia Buon Pastore, Giovedì santo 18 aprile 2019
(Giona 1, 1 – 3, 5. 10; 1Corinzi 11, 20-34; Matteo 26, 17-75)
La liturgia di questa sera, nella sua solennità e nella sua tonalità tipica di passione, ci introduce nel mistero di Gesù attraverso il racconto profetico di Giona e la parola apostolica di Paolo ai Corinzi. Questi due brani, insieme al racconto della Passione secondo Matteo, sono accomunati da due parole che sono sinonimi tra di loro: delusione e fallimento.
“La notte del tradimento di Gesù, la notte del Giovedì è una notte di fallimenti e di delusioni” (D. Caldirola).
La vicenda di Giona, che conosciamo perché ogni anno apre la liturgia della Parola di questa celebrazione, ci presenta il fallimento dell’opera profetica alla quale è chiamato da Dio stesso: Giona non si fida di Dio e così cerca di scappare, di andare lontano da Lui. E in questa fuga, Giona è “ripescato” dallo stesso Dio che gli salva la vita grazie alla preghiera che il profeta fa fiorire dal cuore alle labbra: “La mia preghiera è giunta fino a te, / fino al tuo santo tempio. / Quelli che servono idoli falsi / abbandonano il loro amore. / Ma io con voce di lode / offrirò a te un sacrificio / e adempirò il voto che ho fatto; / la salvezza viene dal Signore”. Di nuovo il Signore rivolge la sua parola al profeta per inviarlo a Ninive: e questa volta ci va’, a Ninive, e ottiene ciò per cui egli era stato inviato, cioè la conversione dei peccatori e la concessione del perdono. Il racconto, questa sera, finisce qui, nella sua versione liturgica; ma noi sappiamo che continua, manifestando l’insoddisfazione di Giona per l’opera al quale Dio lo aveva destinato. Giona è deluso, si considera un fallito: “Meglio per me morire che vivere”. Non ha compreso fino in fondo che la sua missione era rivelare il Dio giusto e misericordioso.
Il racconto di Paolo ai Corinzi è il memoriale della “cena del Signore”. Fin da subito i discepoli hanno obbedito al comando di Gesù “Fate questo in memoria di me”: il radunarsi nelle case, l’ascolto del racconto della fede degli Apostoli, la frazione del pane e la condivisione sono stati gli elementi che hanno costituito la comunità dei discepoli, la comunità cristiana. Ma anche lì, anche all’inizio la fede condivisa è stata insidiata da fallimenti e delusioni, tanto che Paolo arriva a fare questa affermazione dura: “Quando vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore”. È un’affermazione grave, supportata da alcuni esempi che l’Apostolo ci ha messo di fronte agli occhi: “Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere?”. Insomma, quando al centro non c’è più la celebrazione del sacrificio di Gesù, quando Gesù non è più al centro tutto perde di significato, tutto “degrada” e diventa giudizio secondo il mondo: per questo si lascia la comunità cristiana, per questo nella comunità cristiana non si trova il “fuoco vivo” della fede acceso e ben alimentato! Delusioni e fallimenti ci sono stati, ci sono e ci saranno fino a quando non lasceremo definitivamente spazio in noi, in ciascuno di noi, personalmente e comunitariamente, alla celebrazione del mistero del sacrificio di Gesù.
Il lungo racconto della Passione ci ha immerso nel clima di questi giorni per seguire da vicino le vicende tragiche e solenni di Gesù, anzitutto, ma anche dei suoi discepoli e di tutti quelli che, a vario titolo, si muovono e agiscono intorno a lui. Anche in questo racconto ravvisiamo delusioni e fallimenti. I discepoli che non comprendono la Cena Pasquale di Gesù come dono di sacrificio; che non concludono tale rito con inni e canti di gioia a Dio liberatore e Signore; che non comprendono ciò di cui parla Gesù (tradimento, morte, resurrezione); che non sono capaci di vegliare nemmeno un’ora con il loro Maestro; che fuggono di fronte alla prova e all’arresto di Gesù, dimostrandosi poco differenti dal “traditore”. Anche i sommi sacerdoti e i farisei falliscono, pur mettendocela tutta per condannare e accusare falsamente il Nazareno; fallisce una giustizia umana che si dimostra lontana dalle leggi del popolo di Israele; falliscono i testimoni che falsamente sono stati istruiti per arrivare allo scopo. Non parliamo poi di Pietro: dalla professione di fede nel Gesù riconosciuto Cristo alla paura di dirsi suo discepoli; dalla dichiarazione di voler morire per lui al rinnegamento non una, ma per tre volte; dall’essere primo dei discepoli al non volersi far lavare i piedi dal Maestro. Anche per lui, per il primo degli apostoli, una vera e propria collezione di delusione e di fallimenti, questa notte. E Gesù? Anche lui è di fronte al fallimento: i discepoli che non comprendono, che usano violenza nell’ultimo drammatico tentativo di resistere all’arresto, che raccoglie promesse non sorrette dalla veglia e dalla preghiera ma solamente dalla forza di volontà. “Tutto questo permette a Gesù di decidersi! Decidersi che è ora di ricostruire. (…) Le certezze di tutti sono state distrutte: l’orgoglio e le sicurezze dei discepoli, di Pietro e di Giuda; il presunto potere del sommo sacerdote e dei farisei. Non ci sono altri modi per mostrare all’uomo l’amore di Dio. (…) C’è bisogno della prova ultima, del sacrificio stesso di Gesù: il suo corpo e il suo sangue ci sono donati; nel segno dell’eucaristia e nel segno della croce” (D. Caldirola).
E io, e tu, e noi? Quali fallimenti ci permettono di riconoscere che solamente Gesù, questa sera, decide di ricostruire la mia vita, la tua vita, la nostra vita? Chiediamo la grazia, perché è una grazia, di provare la stessa esperienza di Pietro descritta nell’ultimo drammatico versetto della Passione ascoltata questa sera: “E, uscito fuori, pianse amaramente”. Deponiamo anche noi la nostra amarezza e le nostre lacrime ai piedi del sacrificio di Gesù perché Lui possa ricostruirci uomini e donne nuovi, comunità cristiana nuova.
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