Omelia nella VI Domenica dopo Pentecoste (B, rito ambrosiano) 1/7/2018
VI DOMENICA DOPO PENTECOSTE
LETTURA
Lettura del libro dell’Esodo 3, 1-15
In quei giorni. Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.
Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e fare uscire gli Israeliti dall’Egitto?». Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte».
Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».
SALMO
Sal 67 (68)
® O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.
Cantate a Dio, inneggiate al suo nome,
appianate la strada a colui che cavalca le nubi:
Signore è il suo nome,
esultate davanti a lui. ®
O Dio, quando uscivi davanti al tuo popolo,
quando camminavi per il deserto,
tremò la terra, i cieli stillarono
davanti a Dio, quello del Sinai,
davanti a Dio, il Dio di Israele. ®
«Benedite Dio nelle vostre assemblee,
benedite il Signore, voi della comunità d’Israele».
Verranno i grandi dall’Egitto,
l’Etiopia tenderà le mani a Dio. ®
Regni della terra, cantate a Dio,
cantate inni al Signore,
a colui che cavalca nei cieli, nei cieli eterni.
Ecco, fa sentire la sua voce, una voce potente! ®
EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 2, 1-7
Anch’io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.
Tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria.
VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Matteo 11, 27-30
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, “e troverete ristoro per la vostra vita”. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
La vocazione di Mosè è emblematica e serve alla nostra riflessione per pensare anche alla nostra vocazione, alla nostra chiamata alla vita e alle scelte e ai ruoli che abbiamo assunto in essa.
Mosè sembra aver dimenticato la sua vita precedente (salvataggio dalle acque e crescita alla corte del faraone, uccisione dell’egiziano e fuga nel deserto, nuova vita come pastore…) e proprio in questa fase Dio lo chiama (o lo richiama) alle sue origini, alle sue radici: non solo lo chiama ma gli affida un compito speciale, proprio a lui così pieno di difetti, di “peccati”. Mosè deve essere portavoce della parola di liberazione di Dio nei confronti del suo popolo. Ma quali segni e garanzie il Dio dei Padri gli offre? 1. “Io sarò con te”. 2. Una volta ottenuta la liberazione il popolo e Mosè serviranno Dio sul monte Sinai: dunque, un segno “ex post”, un segno a posteriori. 3. La garanzia del nome divino: “Io Sono”. Sembra davvero un po’ poco, almeno per noi. Ma se riflettiamo sulla nostra vocazione cristiana, sulla nostra scelta anche dello stato di vita possiamo riconoscerci in Mosè e nella sua esperienza: non abbiamo avuto garanzie definitive di riuscire, nemmeno “effetti speciali” che hanno accompagnato queste scelte… solo al garanzia di aver fatto una scelta secondo coscienza, illuminata dalla grazia di Dio.
Paolo ci parla della sapienza della Croce, di Cristo Crocifisso. Egli specifica che è una sapienza non di questo mondo, proprio una sapienza divina che si gioca proprio nella differenza tra due diversi modi di amare e due diverse concezioni di onnipotenza. Anzitutto due diversi modi di amare: “La figura del morire di Gesù è la forma concreta e insuperabile in cui si rivela il volto di Dio e la verità profonda della libertà umana, perché ne è la vita in pienezza” (G. Moioli, la Parola della Croce); questo volto di Dio è rivelazione di un amore che non calcola, non aspetta, non pretende… insomma un amore senza misura. Il modo di amare del mondo, invece, è calcolatore, possessivo, pretenzioso… non liberante! In secondo luogo, guardando alla Croce di Gesù vediamo quale onnipotenza divina rivela: “Solo chi è davvero potente può sopportare il male e mostrarsi compassionevole; solo chi è davvero potente può esercitare pienamente la forza dell’amore. E Dio, a cui appartengono tutte le cose perché tutto è stato fatto da Lui, rivela la sua forza amando tutto e tutti, in una paziente attesa della conversione di noi uomini, che desidera avere come figli. Dio aspetta la nostra conversione. L’amore onnipotente di Dio non conosce limiti, tanto che «non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi» (Rm 8,32). L’onnipotenza dell’amore non è quella del potere del mondo, ma è quella del dono totale, e Gesù, il Figlio di Dio, rivela al mondo la vera onnipotenza del Padre dando la vita per noi peccatori. Ecco la vera, autentica e perfetta potenza divina: rispondere al male non con il male ma con il bene, agli insulti con il perdono, all’odio omicida con l’amore che fa vivere” (Benedetto XVI, Catechesi del mercoledì 30 gennaio 2013).
Noi cristiani confidiamo in questo Dio che chiama non i migliori e che ci insegna la sapienza di Cristo Crocifisso; noi cristiani siamo “originali” perché alla Domenica veniamo in Chiesa (“Io sono originale: alla Domenica vado a Messa!” Mario Delpini, Arcivescovo di Milano) per celebrare questo Dio e imparare da Lui la misura dell’amore e anzitutto per farci amare per quello che siamo. Proprio il Vangelo di oggi ce lo ricorda: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e stanchi, e io vi ristorerò”. La nostra vocazione cristiana, la contemplazione della Croce di Gesù come sacrificio d’amore ci porta a un serio esame della nostra esistenza non tanto per sentire una condanna, quanto per sentire che siamo sostenuti e incoraggiati a continuare il nostro cammino di conversione perché il nostro cuore, la nostra vita sia sempre più simile al cuore alla vita di Gesù, mite e umile.
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