Omelia nella celebrazione vespertina “nella cena del Signore” (rito ambrosiano) 29/03/2018
Omelia nella Liturgia vigiliare vespertina “nella cena del Signore”
Parrocchia Buon Pastore, Giovedì santo 29 marzo 2018
(Giona 1, 1 – 3, 5. 10; 1Corinzi 11, 20-34; Matteo 26, 17-75)
Questa mattina in Duomo il nostro Arcivescovo ha affidato un compito (uno dei tre) ai suoi preti: “È necessario che anzitutto i preti e i diaconi imparino sempre di nuovo a celebrare con un vivo senso del mistero”.
Siamo qui, questa sera, a celebrare il mistero della Cena del Signore nella sua Passione. Mistero, per noi credenti, non è qualcosa di totalmente inaccessibile ma di rivelato anche se non totalmente afferrabile dalla nostra intelligenza e dalle nostre capacità; celebriamo il mistero della Passione di Gesù nella commemorazione della sua Pasqua, dell’Ultima Cena.
Ci prepariamo a celebrare questo mistero della fede ascoltando una parola profetica, una parola apostolica e, infine, un lungo brano evangelico.
Giona è, insieme, il simbolo di Gesù che scende nel sepolcro e dal sepolcro esce, quel “segno di Giona” invocato da Lui stesso quando i suoi oppositori chiedevano altri prodigi a conferma della sua identità messianica; ma è anche (e questo secondo significato è più vicino a noi) il segno di tutti coloro che resistono all’appello e alla missione affidata dal Signore. È per mancanza di fede che Giona non si reca subito a Ninive? Il testo ci sembra suggerire di no; dice piuttosto che Giona se ne va lontano perché tanto “sa già” che il Signore è misericordioso e quindi è inutile la sua missione in quella città.
Quale difetto sta in questo profeta? Il difetto sta nel fatto che questa nota della misericordia riconosciuta a Dio non è sentita personalmente da Giona: solamente dopo essere stato salvato da Dio, solamente dopo averLo invocato dal ventre del pesce, Giona sa e sente che quello sguardo di misericordia è anzitutto rivolto a lui, alla sua vita, alla sua missione.
Anche noi, uomini e donne di fede (e lo possiamo dire perché siamo qui, questa sera, nel nostro “Cenacolo”), a volte siamo assuefatti da queste espressioni: “Il Padre è buono, Dio è amore, il nome di è Dio è misericordia…”. E invece dovremmo sentire dentro di noi, sopra di noi questa Presenza che accompagna, salva e benedice.
La seconda è una parola apostolica, quella sicura e forte di Paolo. Egli scrive alla comunità dei cristiani di Corinto, una comunità fervente nella fede e ricca dei doni del Signore; tuttavia ricorda che ciò che unisce ognuno alla comunità è quel “radunarsi nel nome del Signore”, un radunarsi per “mangiare la cena del Signore”. Fin dall’inizio i cristiani si sono riconosciuti e sono stati riconosciuti per questo radunarsi, per questo celebrare facendo memoria: è la forma che ci ha lasciato Gesù per perpetuare la sua memoria.
Ma anche allora non mancavano “difetti”, “peccati”, “individualismi”: “Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?”. Occorre una grande pazienza, occorre lasciarsi educare dallo sguardo buono del Padre per poter sviluppare quel senso di appartenenza e comunità che non divide, non distingue, non giudica ma aspetta.
“Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri”: ecco, appunto, è lo stesso Paolo che ci indica come fare. Aspettarsi, andare con il passo di chi fa fatica, condividere la fatica ed esercitare il dono della carità fraterna, quella carità che permette un altro esercizio difficile, quello cioè della correzione fraterna.
Una comunità che si raduna mettendo al centro Gesù, esercitando la pazienza di aspettarsi, incoraggiarsi, correggersi… insomma esercitando la carità fraterna, è una comunità che matura e che cresce, aggregando a sé altri uomini e donne affamati di nuova umanità, di buona umanità.
Questa sera il Vangelo è lungo e difficile, non sembra proprio una buona notizia. Dal preparare la Pasqua al tradimento di Pietro succedono cose grandi e terribili, insieme.
Vorrei consegnare due suggestioni perché ciascuno trovi poi tempo per sostare e per comprendere ancora meglio, di anno in anno, il mistero di un Amore senza misura.
La prima è: seguire i passi di Pietro. Noi sappiamo dall’evangelista Giovanni che Pietro si rifiuta quasi di farsi lavare i piedi dal Maestro, ma che poi addirittura vuole essere tutto lavato, tutto mondato; Gesù gli risponde che seguirà il suo destino e che ciò che succederà lo segnerà. Pietro poi giura di non scandalizzarsi e di non tradire il Maestro, probabilmente non comprendendo (subito) che quel pane spezzato equivale a una vita donata, la vita non solo del Maestro ma anche quella del discepolo. Pietro non è in grado di vegliare “un’ora sola”, sopraffatto da tutto ciò che sta succedendo. Pietro, infine, rinnega Gesù compiendo così il disegno rivelatogli e piangendo amaramente, ormai distante dal mistero d’Amore che aveva vicino a sé. Forse anche noi ci ritroviamo in questo cammino di Pietro, questa sera.
La seconda è, invece, la suggestione consegnataci la Domenica delle Palme dalla lettera agli Ebrei: “Tenendo fisso lo sguardo su Gesù”. Sarebbe bello, oltre che utile, indagare l’animo di Gesù, il suo cuore e chiederci: “Cos’ha provato Gesù nell’Ultima Cena? Cos’ha provato Gesù nell’ora della tentazione? Che cosa ha provato Gesù di fronte all’abbandono dei suoi? Che cosa ha provato Gesù nei confronti del Padre?”.
Una cosa è certa: il mistero dell’Amore di Gesù, dell’Amore di Dio è terribilmente alto! Concludo con delle parole di un maestro spirituale dei nostri tempi:
“Se avete paura dell’Amore… non dite mai messa. La messa farà riversare sulle vostre anime un torrente di sofferenza interiore che ha un’unica funzione: di spaccarvi in due, affinché tutta la gente del mondo possa entrare nel vostro cuore.
Se avete paura della gente, non dite mai messa. Perché quando cominciate a dir messa, lo Spirito di Dio si sveglia come un gigante dentro di voi e infrange le serrature del vostro santuario privato e chiama tutta la gente del mondo affinché entri nel vostro cuore.
Se dite messa condannate la vostra anima al tormento di un Amore che è così vasto e così insaziabile che non riuscirete mai a sopportarlo da soli. Quell’amore è l’Amore del cuore di Gesù che arde dentro il vostro miserabile cuore e fa cadere su di voi l’immenso peso della sua pietà per tutti i peccati del mondo”. (Thomas Merton)
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