Omelia della III Domenica di Quaresima (rito ambrosiano, B) 4/3/18
DOMENICA DI ABRAMO – III di Quaresima
LETTURA
Lettura del libro dell’Esodo 32, 7-13b
In quei giorni. Il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio, Israele, colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”». Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione».
Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Perché dovranno dire gli Egiziani: “Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra”? Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo. Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo”».
SALMO
Sal 105 (106)
® Salvaci, Signore, nostro Dio.
Abbiamo peccato con i nostri padri,
delitti e malvagità abbiamo commesso.
I nostri padri, in Egitto, non compresero le tue meraviglie,
non si ricordarono della grandezza del tuo amore. ®
Molte volte li aveva liberati,
eppure si ostinarono nei loro progetti.
Ma egli vide la loro angustia,
quando udì il loro grido.®
Si ricordò della sua alleanza con loro
e si mosse a compassione, per il suo grande amore.
Li affidò alla misericordia
di quelli che li avevano deportati.®
EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi 2, 20 – 3, 8
Fratelli, siete voi la nostra gloria e la nostra gioia!
Per questo, non potendo più resistere, abbiamo deciso di restare soli ad Atene e abbiamo inviato Timòteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel vangelo di Cristo, per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede, perché nessuno si lasci turbare in queste prove. Voi stessi, infatti, sapete che questa è la nostra sorte; infatti, quando eravamo tra voi, dicevamo già che avremmo subìto delle prove, come in realtà è accaduto e voi ben sapete. Per questo, non potendo più resistere, mandai a prendere notizie della vostra fede, temendo che il tentatore vi avesse messi alla prova e che la nostra fatica non fosse servita a nulla.
Ma, ora che Timòteo è tornato, ci ha portato buone notizie della vostra fede, della vostra carità e del ricordo sempre vivo che conservate di noi, desiderosi di vederci, come noi lo siamo di vedere voi. E perciò, fratelli, in mezzo a tutte le nostre necessità e tribolazioni, ci sentiamo consolati a vostro riguardo, a motivo della vostra fede. Ora, sì, ci sentiamo rivivere, se rimanete saldi nel Signore.
VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 8, 31-59
In quel tempo. Il Signore Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro».
Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».
Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.
E’ mai stato facile il cammino dei credenti? A quanto pare, no. Il brano dell’Esodo ci pone di fronte all’ennesima impazienza del popolo che, di fronte al ritardare di Mosè che è salito sul monte per ricevere le tavole di pietra su cui sono incise le Dieci Parole, si fabbrica un idolo per avere un’immagine (falsa) da adorare e da seguire al posto del Dio liberatore, il Dio della promessa, il Dio dei Padri nella fede, il Dio delle dieci piaghe e dei segni prodigiosi. Al posto del Dio rivelatore Israele, o almeno la maggior parte di esso, sceglie di eseguire un idolo muto, un idolo vuoto, una divinità “comoda” perché fatta a propria immagine e somiglianza. Di fronte al netto giudizio divino di condanna di questo ennesimo tradimento, Mosè contrappone una preghiera di supplica, ancora una volta e per questo si dimostra uomo e profeta profondamente credente che il Dio dei padri non ha uno sbiadito volto umano, ma un volto di Padre, giusto e misericordioso, che solo per un attimo prova rabbia e poi “scatena” la sua tenerezza per correggere ancora una volta, guidare sulle strade impervie della vita, rimanere fedele alle sue promesse.
Il cammino di fede è, per Paolo Apostolo, un “rimanere saldi nel Signore”. Lo testimonia la sua esperienza di convertito per grazia e non per merito, lo testimoniano le comunità cristiane che lui stesso ha contribuito a fondare, visitare e far crescere. Ci vuole dunque saldezza, costanza, perseveranza: soprattutto quando la vita chiama conto della fede ricevuta non dobbiamo spaventarci e dimenticarci di chiedere l’aiuto dello Spirito di fortezza e di santità, lo stesso Spirito capace di non lasciarci turbare dalle prove ma di trovare in esso le risorse per vivere da credenti. Questo rimanere saldi si testimonia, poi, nella carità, nell’amore che si mette all’opera e che costruisce e edifica la Chiesa, la comunità dei credenti: una comunità senza carità, una comunità senza amore è destinata a cadere, a disgregarsi e perdere la fede nel momento della prova.
E arriviamo nel tempio dove Gesù discute animatamente con alcuni Giudei che avevano creduto in Lui. L’argomento non è per nulla delicato e semplice: si parla di verità e di libertà. Noi moderni scambiamo entrambe le parole con quelle che in realtà non sono, almeno stando a quello che Gesù stesso ci propone. Per il mondo la verità è un concetto e la libertà è assoluta. Per Gesù la verità è una Persona (Lui stesso) e la libertà è mancanza di schiavitù dal peccato. Perché i suoi interlocutori si arrabbiano così tanto? Perché hanno la pretesa e l’arroganza di considerarsi già nella verità e nella libertà, non riconoscendo invece che proprio entrambe sono un dono proposto dal Messia che hanno davanti ai loro occhi ma che il loro cuore non ha saputo riconoscere ed accogliere. Mentre in Gesù la verità è presentata come evidenza e nella carità (perché è vero che la Verità risplende come luce nelle tenebre, ma almeno non acceca e non obbliga!) e la libertà è testimoniata nella sua stessa vita da figlio di Dio, nei Giudei (e in tutti quello che presumono di conoscerla già questa verità e di vivere nella libertà) invece prevale la rigidità e l’indisponibilità a mettersi in discussione che porta addirittura ad usare violenza contro lo stesso Gesù per farlo tacere. Chiediamo come dono per ciascuno quello di guardare a Cristo con occhi rinnovati per riconoscerci nella verità di noi stessi: solo così sperimenteremo la vera libertà dal nostro “io”, una libertà che ci porta a gustare la novità e la libertà dell’essere figli di Dio (amati).
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