Omelia della II Domenica dopo l’Epifania A (rito ambrosiano) – 15 gennaio 2017

15.01.2017 – II DOMENICA DOPO L’EPIFANIA

Lettura

Lettura del libro dei Numeri 20, 2. 6-13

In quei giorni. Mancava l’acqua per la comunità: ci fu un assembramento contro Mosè e contro Aronne.

Allora Mosè e Aronne si allontanarono dall’assemblea per recarsi all’ingresso della tenda del convegno; si prostrarono con la faccia a terra e la gloria del Signore apparve loro. Il Signore parlò a Mosè dicendo: «Prendi il bastone; tu e tuo fratello Aronne convocate la comunità e parlate alla roccia sotto i loro occhi, ed essa darà la sua acqua; tu farai uscire per loro l’acqua dalla roccia e darai da bere alla comunità e al loro bestiame». Mosè dunque prese il bastone che era davanti al Signore, come il Signore gli aveva ordinato.

Mosè e Aronne radunarono l’assemblea davanti alla roccia e Mosè disse loro: «Ascoltate, o ribelli: vi faremo noi forse uscire acqua da questa roccia?». Mosè alzò la mano, percosse la roccia con il bastone due volte e ne uscì acqua in abbondanza; ne bevvero la comunità e il bestiame.

Ma il Signore disse a Mosè e ad Aronne: «Poiché non avete creduto in me, in modo che manifestassi la mia santità agli occhi degli Israeliti, voi non introdurrete quest’assemblea nella terra che io le do». Queste sono le acque di Merìba, dove gli Israeliti litigarono con il Signore e dove egli si dimostrò santo in mezzo a loro.

Salmo

Sal 94 (95)

® Noi crediamo, Signore, alla tua parola.

Venite, cantiamo al Signore,

acclamiamo la roccia della nostra salvezza.

Accostiamoci a lui per rendergli grazie,

a lui acclamiamo con canti di gioia. ®

Entrate: prostràti, adoriamo,

in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.

È lui il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo,

il gregge che egli conduce. ®

Se ascoltaste oggi la sua voce!

«Non indurite il cuore come a Merìba,

come nel giorno di Massa nel deserto,

dove mi tentarono i vostri padri:

mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere». ®

Epistola

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 8, 22-27

Fratelli, sappiamo che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.

Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio.

Vangelo

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 2, 1-11

In quel tempo. Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

 

In questo “Tempo dopo l’Epifania”, dopo aver assistito alla rivelazione dell’Amato nel battesimo del Giordano, il Lezionario Ambrosiano ci accompagna alla riscoperta delle varie manifestazioni gloriose che hanno accompagnato la vita e l’opera di Gesù.

Il libro dei Numeri ci riporta l’episodio della “crisi a Massa e Meriba”, più volte ricordata nella Bibbie e in particolare nelle preghiere dei salmi. Questo episodio segna il punto più alto della crisi nel rapporto tra il popolo e Dio: gli stessi Mosè e Aronne, poi, dopo aver percosso due volte la roccia per farne scaturire acqua (e non una, come comandato dall’Altissimo) ricevono la “sanzione” della loro poca fede e così non accompagneranno nella terra promessa il popolo. Quale significato, alla luce della rivelazione evangelica, possiamo ricavare da questo racconto? Probabilmente due possono essere gli elementi: il primo è l’elemento dell’acqua come segno di salvezza (in questo caso salvezza fisica) che scaturisce dalla roccia (impossibile se non per intervento diretto di Dio); il secondo è la mancata fiducia piena di Mosè e Aronne che, stanchi pure loro delle continue lamentele del popolo, “perdono la pazienza” e… attribuiscono a loro stessi questo prodigio. Della serie: anche i “santi” perdono la pazienza e… la fede, ogni tanto!

Il brano di Paolo ai Romani ci presenta la visione del mondo con gli occhi del credente che attende la pienezza della rivelazione: l’Apostolo ci ricorda infatti che, nonostante la nostra vita sia già stata redenta e incorporata a Cristo, siamo ancora in attesa che quest’opera sia completata venendo incontro alla nostra debolezza (ne abbiamo davvero un’esperienza incredibile di questa debolezza: basti pensare a quanti propositi di cambiamento e di conversione sinceri si sono scontrati con la nostra umanità ferita e incapace davvero di affidarsi all’azione dello Spirito!). In tutto questo Paolo ci ricorda che la fede è invocazione: chiedere che l’opera dello Spirito, attraverso il sacramenti, la Parola di Dio, la preghiera, la carità… possa toccare profondamente le corde del nostro cuore per alimentare la speranza e sollecitare la carità.

Tutto il discorso fatto finora trova nelle nozze di Cana una vera e propria rivelazione concreta di come agisce la grazia di Dio e di come si rivela al mondo. Anzitutto attende un momento propizio, per esempio una festa di nozze (già emblematica per sé, perché la Bibbia è piena di questo linguaggio sponsale che descrive il rapporto Creatore e Creatura); in secondo luogo trasforma in abbondanza ciò che si crede di conoscere in ciò che è sconosciuto e, soprattutto, molto buono (l’acqua delle giare per le abluzioni dell’Antico Testamento in vino nuovo del Vangelo dell’umanità rinnovata); in terzo luogo il Messia fa conoscere direttamente la sua opera ai servi, agli ultimi e a quelli che cooperano alla realizzazione di quest’opera (solo i servi sanno da dove viene questo vino: né il maestro di tavole, né gli sposi ne sanno niente!).

Il Cristianesimo suscitato dalla rivelazione di Gesù, dunque, non sa di “solita minestra riscaldata” ma da’ nuova luce, forza, speranza alla nostra umanità ferita: e proprio questa umanità, la sola cosa che abbiamo, può brillare ed essere nuova umanità ristorata dal vino nuovo del Vangelo di Gesù.

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