Omelia della II Domenica dopo Pentecoste C, rito ambrosiano 29/05/2016

29.05.2016

II DOMENICA DOPO PENTECOSTE

 

Lettura del libro del Siracide 18, 1-2. 4-9a. 10-13

Colui che vive in eterno ha creato l’intero universo. / Il Signore soltanto è riconosciuto giusto. / A nessuno è possibile svelare le sue opere / e chi può esplorare le sue grandezze? / La potenza della sua maestà chi potrà misurarla? / Chi riuscirà a narrare le sue misericordie? / Non c’è nulla da togliere e nulla da aggiungere, / non è possibile scoprire le meraviglie del Signore. / Quando l’uomo ha finito, allora comincia, / quando si ferma, allora rimane perplesso. / Che cos’è l’uomo? A che cosa può servire? / Qual è il suo bene e qual è il suo male? / Quanto al numero dei giorni dell’uomo, cento anni sono già molti. / Come una goccia d’acqua nel mare e un granello di sabbia, / così questi pochi anni in un giorno dell’eternità. / Per questo il Signore è paziente verso di loro / ed effonde su di loro la sua misericordia. / Vede e sa che la loro sorte è penosa, / perciò abbonda nel perdono. / La misericordia dell’uomo riguarda il suo prossimo, / la misericordia del Signore ogni essere vivente.

 

SALMO

Sal 135 (136)

®  Rendete grazie al Signore, il suo amore è per sempre.

Rendete grazie al Dio degli dèi,

perché il suo amore è per sempre.

Rendete grazie al Signore dei signori,

perché il suo amore è per sempre.

Lui solo ha compiuto grandi meraviglie,

perché il suo amore è per sempre. ®

Ha creato i cieli con sapienza,

perché il suo amore è per sempre.

Ha disteso la terra sulle acque,

perché il suo amore è per sempre.

Ha fatto le grandi luci:

perché il suo amore è per sempre. ®

Il sole, per governare il giorno,

perché il suo amore è per sempre.

La luna e le stelle, per governare la notte,

perché il suo amore è per sempre. ®

 

EPISTOLA

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 8, 18-25

Fratelli, ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.

 

VANGELO

Lettura del Vangelo secondo Matteo 6, 25-33

In quel tempo. Il Signore Gesù ammaestrava le folle dicendo: «Io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».

 

Credo che potremmo prendere l’ultimo versetto del brano evangelico di oggi per farne il “titolo” di questa domenica.

Che cos’è il regno di Dio? Che cos’è la giustizia di Dio?

Gesù parla del regno di Dio, del regno del Padre, nella sua preghiera (“venga il tuo regno”) e in un paio di parabole: egli lo paragona al lievito nella pasta perché tutta fermenti, oppure al granellino di senapa che, piccolissimo, può arrivare ad essere un grande albero sul quale si possono riposare gli uccelli del cielo… Potremmo dire, insomma, che il regno di Dio è la sua Presenza che nasce, cresce e si sviluppa in noi e intorno a noi in maniera misteriosa e noi lo possiamo riconoscere facilmente dove c’è il buono, li bello, il giusto, l’accoglienza, il perdono, la fatica…

Per parlare della giustizia di Dio dobbiamo prima dire alcune caratteristiche, invece, della giustizia umana: essa è vendicativa (“occhio per occhio” è il minimo…), retributiva (“io ti restituisco o ti do quello che a tua volta mi hai dato, in positivo o in negativo”), netta e intransigente (da una parte c’è tutto il bene, dall’altra tutto il male); generalmente queste caratteristiche della giustizia umana le applichiamo con gli altri più che con noi stessi. 

La giustizia di Dio, invece, è una giustizia giusta (equa), distributiva (da a tutti lo stesso e fa delle sue cose come gliene pare, vedi la parabola del padrone della vigna che paga tutti gli operai alla stessa maniera…), paziente e misericordiosa.

Se nella nostra vita cerchiamo il regno di Dio e la sua giustizia, Gesù ci promette che il cibo e il vestito, la sussistenza e la dignità, ce le donerà in aggiunta. Noi che abbiamo la fortuna di avere cibo e vestito dovremmo davvero essere impegnati in questa ricerca…

Paolo parla del gemito della creazione e del corpo: il gemito della creazione ha a che fare con la sua caratteristica caducità e imperfezione (nessuno mi venga a dire che le disgrazie e le malattie sono opera del Signore!); il gemito del corpo, invece, trova nella forza e nella comunione con le primizie dello Spirito l’essere come Gesù, essere figli adottivi del Padre e affrontare con la stessa forza, lo stesso coraggio, la stessa determinazione, ogni circostanza lieta o triste della vita.

Ma cos’è questo gemito? Esso è l’attesa perseverante dei tempi nuovi, per noi e per il nostro mondo: non un mondo perfetto, non un mondo nell’aldilà ma un anticipo di paradiso e un mondo più umano, più vero, più giusto.

“Chi potrà narrare le sue misericordie?” è la domanda sera della prima lettura. L’antifona dopo il Vangelo recita: “Abbiamo contemplato, o Dio, le meraviglie del tuo amore”. Grazie alla croce e alla risurrezione noi contempliamo le meraviglie che il Padre ha compiuto per noi e compie ancora oggi. La lettura ci ricorda come il Signore conosce le nostre difficoltà (“sorte penosa”) e proprio per questo “abbonda nel perdono”. Sentire che il Signore è buono e giusto con noi, ci fa diventare più buoni e più giusti con gli altri (“Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”).

“Semina, semina: l’importante è seminare – poco, molto, tutto – il grano della speranza”.

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