La Parola che conta: Giovedì 28 aprile 2016, V di Pasqua, Santa Gianna Beretta Molla

LETTURA

Lettura degli Atti degli Apostoli 24, 27 – 25, 12

Trascorsi due anni, Felice ebbe come successore Porcio Festo. Volendo fare cosa gradita ai Giudei, Felice lasciò Paolo in prigione. Festo dunque, raggiunta la provincia, tre giorni dopo salì da Cesarèa a Gerusalemme. I capi dei sacerdoti e i notabili dei Giudei si presentarono a lui per accusare Paolo, e lo pregavano, chiedendolo come un favore, in odio a Paolo, che lo facesse venire a Gerusalemme; e intanto preparavano un agguato per ucciderlo lungo il percorso. Festo rispose che Paolo stava sotto custodia a Cesarèa e che egli stesso sarebbe partito di lì a poco. «Quelli dunque tra voi – disse – che hanno autorità, scendano con me e, se vi è qualche colpa in quell’uomo, lo accusino». Dopo essersi trattenuto fra loro non più di otto o dieci giorni, scese a Cesarèa e il giorno seguente, sedendo in tribunale, ordinò che gli si conducesse Paolo. Appena egli giunse, lo attorniarono i Giudei scesi da Gerusalemme, portando molte gravi accuse, senza però riuscire a provarle. Paolo disse a propria difesa: «Non ho commesso colpa alcuna, né contro la Legge dei Giudei né contro il tempio né contro Cesare». Ma Festo, volendo fare un favore ai Giudei, si rivolse a Paolo e disse: «Vuoi salire a Gerusalemme per essere giudicato là di queste cose, davanti a me?». Paolo rispose: «Mi trovo davanti al tribunale di Cesare: qui mi si deve giudicare. Ai Giudei non ho fatto alcun torto, come anche tu sai perfettamente. Se dunque sono in colpa e ho commesso qualche cosa che meriti la morte, non rifiuto di morire; ma se nelle accuse di costoro non c’è nulla di vero, nessuno ha il potere di consegnarmi a loro. Io mi appello a Cesare». Allora Festo, dopo aver discusso con il consiglio, rispose: «Ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai».

 

SALMO

Sal 113B (115)

®   A te la gloria, Signore, nei secoli.

oppure

®   Alleluia, alleluia, alleluia.

Non a noi, Signore, non a noi,

ma al tuo nome da’ gloria,

per il tuo amore, per la tua fedeltà. ®

Perché le genti dovrebbero dire:

«Dov’è il loro Dio?».

Il nostro Dio è nei cieli:

tutto ciò che vuole, egli lo compie. ®

Benedice quelli che temono il Signore,

i piccoli e i grandi.

Siate benedetti dal Signore,

che ha fatto cielo e terra. ®

 

VANGELO

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 12, 37-43

In quel tempo. Sebbene il Signore Gesù avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui, perché si compisse la parola detta dal profeta Isaia: / «Signore, chi ha creduto alla nostra parola? / E la forza del Signore, a chi è stata rivelata?». / Per questo non potevano credere, poiché ancora Isaia disse: / «Ha reso ciechi i loro occhi / e duro il loro cuore, / perché non vedano con gli occhi / e non comprendano con il cuore / e non si convertano, e io li guarisca!». / Questo disse Isaia perché vide la sua gloria e parlò di lui. Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga. Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio.

 

Le circostanze nelle quali Paolo si trova, prigioniero per la sua fede, si aggravano ulteriormente perché i Giudei si accaniscono e cercano in tutti i modi di stendere la loro mano sull’Apostolo. Paolo però sa che quest’odio ha una radice maligna, non sana e le accuse a lui mosse sono infondate: per questo si appella a Cesare, essendo un cittadino romano. Precisiamo: Paolo non appella a Cesare per “salvarsi la pelle” ma per rendere ancora più giusta la sua testimonianza e dare più valore al suo futuro martirio.

Il giudizio dato da Giovanni a quei capi che avevano creduto in Gesù ma non lo dichiaravano per paura di essere espulsi dalla sinagoga è netto e impietoso: “Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio”. Stiamo imparando cosa significhi “gloria di Dio” e quanto sia distante dalla “gloria del mondo” e degli uomini. L’apparenza ha sempre un suo fascino, ma occorre andare dentro e oltre essa per poter gustare la “sostanza” della salvezza e della gloria divina.

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